10 novembre 2023
SIOT 2023, il congresso che guarda al futuro

Alto valore scientifico unito alla partecipazione di autorevoli esperti nazionali e internazionali e referenti delle principali Società scientifiche specialistiche europee e statunitensi. Sono questi gli elementi chiave del 106° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia.
«Il format di quest’anno – dicono Pasquale Farsetti e Carmelo D’Arrigo, Presidenti del Congresso SIOT 2023– ha l’ambizioso obiettivo, non solo di informare e aggiornare i medici sulle novità inerenti i temi cari alla nostra professione ma anche di favorire il riavvicinamento alla SIOT e all’ortopedia e traumatologia in generale dei colleghi specialisti più giovani e dei medici in formazione specialistica che oggi, già dall’inizio della specializzazione, vengono chiamati nei vari ospedali a ricoprire ruoli per cercare di sopperire a quella che è la carenza di medici nel nostro Paese. Affronteremo le tematiche principali concordate con le varie Società super specialistiche, affiliate alla SIOT, tenendo in considerazione i recenti progressi scientifici e tecnologici in continua evoluzione, riservando ampi spazi di discussione non solo alla chirurgia protesica, artroscopica e alla traumatologia dello sport, ma anche a discipline come l’ortopedia pediatrica e la chirurgia vertebrale, verso le quali i giovani sembrano mostrare un minor interesse ma che rappresentano settori fondamentali nella formazione di un ortopedico».
Una straordinaria opportunità di confronto e dibattito

«Il Congresso – evidenzia Alberto Momoli, Presidente SIOT e Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia Ospedale San Bortolo, Vicenza – è un’opportunità straordinaria di confronto e dibattito tra numerosi esperti nazionali e internazionali. Ci troviamo in un momento di grande crisi della nostra professione in cui spesso le giovani generazioni dimostrano scarso interesse per alcune specialità tra cui proprio l’ortopedia. La grande conflittualità anche di tipo medico legale rendono questo preciso momento storico ancora più complesso.
All’esame del Governo è in corso una ridefinizione dell’atto medico e, senza volersi addentrare sul piano legislativo, abbiamo voluto organizzare una tavola rotonda proprio per dare un messaggio di speranza ai colleghi più giovani. Per mostrare loro che la nostra professione non è abbandonata a sé stessa ma va valorizzata e per riflettere su quale sia oggi il ruolo del medico, quali le sue competenze e le responsabilità all’interno di un sistema sanitario che sta cambiando. Con i rappresentanti del Ministero della Salute e del Ministero della Giustizia, del Tribunale di Roma, avvocati e medici legali abbiamo l’obiettivo di avviare un confronto su quali siano le criticità da affrontare e superare grazie al contributo di tutti».
Numerose le sessioni scientifiche, dedicate alle principali tematiche inerenti l’Ortopedia e la Traumatologia: dalla fragilità scheletrica e chirurgia ortopedica dell’anziano, alla chirurgia robotica e navigazione nella chirurgia protesica di anca e ginocchio, alla chirurgia di spalla tra gestione delle recidive e innovazioni chirurgiche, alla ricostruzione del Legamento Crociato Anteriore (LCA) anche nei calciatori d’élite, alla traumatologia dello sport, al ruolo delle nuove tecniche di Ortobiologia
Nel 2017 sono state registrate 560 mila fratture da fragilità

«Considerando l’invecchiamento della popolazione – spiega Fernando De Maio, Professore Associato di Malattie dell’Apparato Locomotore, Università degli Studi di Roma Tor Vergata – nel nostro Paese si può stimare che nel 2030 le fratture da fragilità aumenteranno di oltre il 20% arrivando a sfiorare il tetto di circa 700 mila. La fragilità scheletrica è uno dei principali problemi di sanità pubblica, in quanto associata all’alto rischio di fratture e alle conseguenti implicazioni in termini di mortalità, riduzione dell’autonomia e costi sanitari. I segmenti scheletrici più colpiti sono nell’ordine di frequenza, il polso, il femore, l’omero e le vertebre. Le cause delle fratture da fragilità, soprattutto dopo i 65 anni di età, sono dovute per lo più all’osteoporosi, cioè una ridotta densità minerale e un deterioramento della micro-architettura del tessuto osseo, che in Italia colpisce circa il 23% delle donne e il 7,0% degli uomini. Una corretta alimentazione, ricca di calcio e vitamina D e uno stile di vita attivo che comprenda un’adeguata attività fisica sono fondamentali per prevenire il rischio di fratture soprattutto nell’età considerata più a rischio cioè dopo la menopausa per le donne e senile per gli uomini. Nell’ottica della prevenzione, una corretta valutazione della fragilità ossea attraverso specifici esami del sangue e la mineralometria ossea computerizzata (MOC), già dai cinquant’anni soprattutto per le donne, è raccomandata».
La lesione del legamento crociato anteriore, la grande paura degli sportivi

«Nelle sette stagioni – spiega Edoardo Monaco, Professore Associato di Malattie dell’Apparato Locomotore presso l’Università degli Studi di Roma “Sapienza” – a partire dal 2011 sono state 84 le lesioni del legamento crociato anteriore, LCA, in serie A. Con un’incidenza di 0,062 infortuni per 1000 ore di esposizione al rischio. Nelle stagioni dal 2014-15 al 2016-17, 3 stagioni consecutive, negli 8 principali campionati europei ci sono state 195 lesioni del LCA. Se consideriamo che il Return To Play medio è di circa 250 giorni, quasi una stagione, è possibile comprendere l’impatto sportivo ed economico di questo infortunio. Stiamo però parlando di atleti d’élite che rappresentano solo una minima parte dei pazienti che subiscono lo stesso infortunio in sport amatoriali. Per questo il Congresso SIOT 2023 dedica all’argomento una sessione scientifica che vede la partecipazione di esperti italiani e non solo, specializzati nella ricostruzione di LCA. Condividere le esperienze, l’Italia è davvero all’avanguardia e avviare un confronto sui risultati ottenuti nel post operatorio, nel percorso riabilitativo e, soprattutto nel ritorno sul campo è davvero prezioso. Perché, al di là del ritorno in campo di professionisti di così alto livello, le evidenze scientifiche dimostrano che i giocatori non sempre tornano davvero alle stesse performance che ottenevano prima dell’infortunio».
Chirurgia robotica, facciamo chiarezza

«Per chirurgia robotica – spiega Francesco Benazzo, Coordinatore Commissione Robotica SIOT e Direttore della Sezione di Chirurgia Protesica ad Indirizzo Roboticoe Unità di Traumatologia dello Sport, Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero di Brescia – si intende una pratica medica di precisione, accurata e personalizzata, che permette di eseguire operazioni chirurgiche tramite un robot semi autonomo, in grado di eseguire manovre comandate. Si tratta di chirurgia a bassa aggressività, e in maniera diversa rispetto al celeberrimo DaVinci, utilizzato per la chirurgia prostatica e chirurgia generale, in cui il chirurgo non opera con le proprie mani ma manovrando un robot a distanza, seduto ad una console computerizzata posta all’interno della sala operatoria. Nell’ambito della chirurgia robotica ortopedica il robot, semiautonomo, è programmato dal chirurgo, ma a sua volta permette al chirurgo di eseguire le resezioni ossee in maniera accurata, nell’ordine di 0.5 mm e 0.5 gradi.
Un approccio tecnologicamente avanzato, quindi, rispetto alla sola navigazione chirurgica che permette di realizzare più o meno le stesse pratiche ma senza la precisione dell’esecuzione del gesto di un braccio robotico meccanico. La chirurgia robotica, inoltre, porta numerosi benefici pre-intra e post-operatori, sia per il paziente che dal punto di vista clinico perché oltre ad un gesto chirurgico più preciso, garantisce minor sanguinamento, rischi di infezione post-operatoria più bassi, tempi di degenza e recupero inferiori. Tra gli ambiti di intervento della chirurgia robotica in ortopedia, vi sono le protesi mono comportamentali e totali di ginocchio, la protesi d’anca e quella femoro-rotulea e, nel prossimo futuro la robotica sarà applicata anche alle protesi di caviglia e di spalla».
Ortobiologia, la nuova frontiera
«L’Ortobiologia – dice Stefano Giaretta, Dirigente medico UOC Ortopedia e Traumatologia Ospedale San Bortolo, Vicenza, AULSS8 “Berica”- Responsabile UOSVD Centro di Riferimento Regionale per la Chirurgia di Revisione Protesica – comprende tutti quei trattamenti non chirurgici con procedure minimamente invasive che vengono effettuati in pazienti che fino a qualche anno fa avevano come sola scelta terapeutica. Interventi come ad esempio la sostituzione protesica, e che hanno avuto un grande sviluppo negli anni più recenti. Ai trattamenti infiltrativi classici con farmaci antinfiammatori e quelli a base di acido ialuronico, si sono aggiunte poi le infiltrazioni con i derivati del sangue, i cosiddetti PRP, fino ad arrivare ai trattamenti con le cellule mesenchimali (MSC) estratte dal midollo osseo o dal grasso sottocutaneo. Siamo nell’ambito della medicina riparativa e rigenerativa perché si attua uno stimolo biologico a quella che è la risposta dolorosa che l’artrosi provoca nelle varie articolazioni. Evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia sia riguardo le infiltrazioni con l’acido ialuronico sia quelle con il PRP, e la letteratura più recente anche quelle con le cellule mesenchimali, in particolare nell’articolazione del ginocchio. Non ci sono ancora al momento dati sufficienti a supporto, invece, che possano confermare gli stessi risultati per le altre articolazioni.
In futuro ci aspettiamo un’evoluzione verso queste tecniche anche per tutte le patologie tendinee della spalla o per l’articolazione dell’anca. I trattamenti infiltrativi presentano controindicazioni estremamente ridotte, con un’attenzione particolare nei soggetti fragili o coloro che fanno uso di farmaci anticoagulanti o presentano varie comorbidità. Per quanto riguarda le infiltrazioni con il cortisone e con l’acido ialuronico non ci sono particolari controindicazioni a meno che il paziente non presenti allergie a uno dei componenti del farmaco o alterazioni gravi dello stato di salute. Il trattamento infiltrativo con PRP e MSC viene utilizzato principalmente per trattare quelle artrosi da lievi a moderate, sintomatiche, in cui il danno articolare e la funzione residua permetta ancora margini di un trattamento non chirurgico consentendo così una migliore qualità di vita per il paziente che, in caso di progressione della malattia, potrà essere sottoposto alla chirurgia protesica».
Foto: Unsplash, Sito SIOT