19 maggio 2023
Malattie infiammatorie croniche intestinali, tra stigma e vergogna

E’ davvero possibile pensare che si possa vivere vergognandosi di essere malati? Di essere così in imbarazzo nel “confessare” di soffrire di una malattia infiammatoria cronica intestinale da preferire il silenzio? Di aver bisogno di andare in bagno più di 10 volte al giorno e non avere il coraggio di alzare la mano a scuola? Di soffrire di stanchezza cronica e non riuscire a far capire ad un collega in ufficio che non è pigrizia o voglia di non fare? Ed è accettabile avere la consapevolezza che le cure migliori non sono sempre a portata di casa perché l’Italia è macchia di leopardo? Questi non sono solo interrogativi, sono montagne da scalare, sono gli ostacoli con i quali ogni giorno si confrontano le persone che soffrono di una malattia infiammatoria cronica intestinale, come la malattia di Crohn e la colite ulcerosa.
I disturbi più comuni tra coloro che soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali sono già difficili da sopportare e gestire tra le mura della propria casa, ma possono diventare un vero e proprio incubo a scuola o a lavoro. Non stupisce, allora, che per quasi il 72% dei pazienti la malattia influisce sulle capacità di lavorare e che oltre 1 su 2 è costretto a chiedere un congedo.
Non va meglio neanche per chi frequenta la scuola o l’università: il 72% dei pazienti ammette di aver avuto difficoltà a frequentare regolarmente le lezioni per colpa della malattia e quasi l’80% è stato costretto ad assentarsi. A lavoro e a scuola manca spesso la comprensione e il sostegno di cui gli italiani con MICI hanno estremo bisogno, non solo per vivere meglio ma anche per produrre di più.
Numeri destinati ad aumentare

«Le MICI sono patologie ad andamento cronico e ricorrente, che si presentano con periodi di riacutizzazione alternati a fasi di remissione e di cui non si conosce la causa. Rientrano in questa definizione la malattia di Crohn, la colite ulcerosa. Si stima che in Italia le persone affette da queste malattie siano circa 250mila e 5 milioni in tutto il mondo. L’età in cui più frequentemente insorgono va dai 20 ai 40 anni, ma l’esordio può avvenire a qualsiasi età, colpendo uomini e donne in egual misura» spiega Valentina Ferracuti, Presidente AMICI Italia.
L'indagine Better
La fotografia dei disagi dei pazienti è stata scattata dall’indagine Better – Bisogni Assistenziali, Lavorativi, Legali e Sociali per la cura dei pazienti affetti da malattie infiammatorie Croniche dell’Intestino – presentata oggi al ministero della Salute da AMICI ITALIA in occasione di un convegno organizzato dall’associazione, su iniziativa del Ministro della Salute, Orazio Schillaci. L’evento si è tenuto in occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.
«Quella di una persona con MICI può essere una vita difficile e complicata e lo è molto di più senza un adeguato sostegno a lavoro e a scuola. L’indagine Better rileva che la malattia influisce sulla capacità di lavorare di oltre 7 persone su 10 e che più di 1 su 2 non riceve il giusto supporto o non coinvolto nelle decisioni riguardo i suoi orari di lavoro. Ma basterebbe qualche accorgimento in più per migliorare la loro situazione lavorativa, come ad esempio permessi retribuiti per visite mediche e trattamenti, maggior flessibilità nell’orario di lavoro o la possibilità di lavorare a casa» spiega Salvo Leone direttore AMICI Italia .
Le difficoltà dei bambini e dei giovani

Ben 8 studenti su 10 ha avuto bisogno di fare dei giorni di assenza a causa della malattia e in oltre il 20% dei casi queste assenze non consentono di seguire il programma scolastico o il piano didattico. «Il 65% ha dichiarato di non aver ricevuto supporto dai docenti e dal personale scolastico/accademico per gestire la malattia. E 1 su 2 ha avuto problemi di socializzazione con gli altri studenti. Tra le misure che potrebbero essere utili per gli studenti c’è certamente il supporto dei docenti per seguire il programma di studi (lo pensa il 10% del campione) e anche la possibilità di frequentare le lezioni in modalità online. Sarebbe d’aiuto anche migliorare l’accesso al bagno, visto che nel 20% degli istituti frequentati dai partecipanti alla ricerca presenta delle limitazioni» aggiunge Ferracuti.
Si pensa alla malattia, si ignora il carico psicologico

Tra le problematiche che accomunano studenti e lavoratori, quindi giovani e adulti, ci sono difficoltà ad avere una vita sociale. Quasi il 90% del campione dell’indagine ha ammesso di aver dovuto cancellare degli appuntamenti sociali a causa della malattia infiammatoria cronica intestinale, aggravando in questo modo il già pesante carico psicologico legato alla condizione. A fronte di questa situazione, l’86% dei pazienti non ha mai partecipato a gruppi di supporto psicologico per pazienti con Mici.
«Oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà e i bisogni delle persone con MICI, l’obiettivo di questa giornata mira anche a valorizzare il lavoro delle istituzioni e della comunità scientifica per questo numeroso esercito di pazienti. Inoltre, rappresenta un esempio concreto di come organizzazioni dei pazienti, società scientifiche e istituzioni possano lavorare insieme per affrontare le sfide legate alle MICI, migliorare la qualità della vita dei pazienti e per garantire un futuro sostenibile per il Servizio Sanitario Nazionale, assicurando l’universalità, l’uguaglianza e l’equità nel trattamento delle patologie, senza trascurare alcun paziente e fornendo loro il supporto e l’assistenza adeguati» conclude Leone.
Un problema globale
«L’incidenza di queste patologie è in netto aumento e 1 diagnosi su 4 riguarda pazienti pediatrici – aggiunge Claudio Romano, presidente SIGENP (Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica) –. Dal punto di vista geografico, oltre ai paesi storicamente interessati come Europa e Nord America, anche i paesi dalle economie in maggiore crescita ne sono sempre più coinvolti. Si tratta dunque di un problema globale in netto peggioramento e su cui, probabilmente, giocano un forte ruolo i fattori ambientali, insieme alla predisposizione genetica».
«Le IBD sono infatti malattie a genesi ‘multifattoriale’ tuttora parzialmente conosciuta – aggiunge Flavio Caprioli, segretario dell’Italian Group for the Study of Infiammatory Bowel Disease (IG-IBD). L’ipotesi prevalente è quella di una reazione immunologica abnorme da parte dell’intestino nei confronti di antigeni (per esempio i batteri costituenti il microbiota intestinale). Questo squilibrio immunologico può instaurarsi per un’alterata interazione tra fattori genetici propri dell’individuo e fattori ambientali, questi ultimi ancora non bene identificati».
Foto: Unsplash, Pexels e Pixabay