5 luglio 2023
Diabete, troppi accessi in pronto soccorso per ipoglicemia

Sempre più pazienti diabetici accedono ai servizi di emergenza per mancato controllo glicemico. Le principali motivazioni di accesso in Pronto Soccorso sono ipoglicemia, iperglicemia, chetoacidosi e piede diabetico.
La realizzazione di un network efficace ed efficiente tra territorio, rete di assistenza e paziente diabetico è quindi una esigenza primaria. Prevenire le complicanze croniche dei malati, migliorandone lo stato di salute, significa alleggerire i costi sostenuti dal Servizio Sanitario Nazionale e liberare le strutture di Pronto Soccorso dai casi non urgenti e, soprattutto, evitabili.
Sono queste le raccomandazioni evidenziate da uno studio realizzato da Bhave su oltre 100 strutture ospedaliere in tutta Italia e su circa 300mila accessi in Pronto Soccorso. I risultati, presentati in Senato, in un incontro su “Diabete in pronto soccorso: e dopo?” a cui hanno partecipato politici, clinici e pazienti.
La medicina sul territorio deve liberare i Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti

«I cittadini hanno diritto ad un adeguato servizio a tutela della salute – sottolinea la Senatrice Daniela Sbrollini, Vice Presidente della 10ª Commissione permanente del Senato e Presidente dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e per le malattie croniche non trasmissibili –L’organizzazione della medicina sul territorio deve liberare il Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti e che sono gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri. Sono due punti fermi sui quali la sanità Nazionale sta mostrando seri limiti di efficienza. Sono estremamente preoccupata perché questi servizi stanno mostrando ogni giorno carenze che non possono essere imputate agli operatori sanitari. La cronicità e il diabete in particolare rappresentano casi emblematici di come il territorio deve interfacciarsi con le strutture specialistiche, per ridurre al minimo le problematiche relative agli accessi ai pronto soccorso, relative alle urgenze per ipo e iperglicemie gravi».
Non bisogna dimenticarsi delle urgenze sanitarie nelle aree interne marginali
«I pronto soccorso sono uno snodo vitale della nostra sanità e devono essere posti dove l’operatore sanitario deve poter svolgere la propria attività con serenità e nel rispetto delle vere urgenze – afferma il Senatore Guido Quintino Liris, Intergruppo Parlamentare per la prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne, componente 5ª Commissione permanente del Senato – rafforzando l’organico del personale sanitario, soprattutto nei servizi di emergenza/urgenza, rendendo più attrattivo e sicuro il lavoro nei reparti di pronto soccorso. Nel contempo, non bisogna dimenticarsi delle urgenze sanitarie nelle aree interne marginali, dove spesso il ricorso al pronto soccorso è difficile e complesso. Vogliamo lavorare per consentire a tutti un accesso alle cure, nel rispetto del lavoro degli operatori sanitari e potenziando la presa in carico del paziente cronico e diabetico».
I Pronto Soccorso spesso si devono occupare di complicanze non adeguatamente gestite dalla medicina territoriale
«La soluzione può venire solo da un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico ed efficiente – spiega Francesco Pugliese , Direttore del Dipartimento Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma, oltre a evidenziare una non adeguata gestione del paziente diabetico ospedalizzato – che veda un’adeguata formazione del personale ospedaliero e territoriale, l’informazione del paziente/caregiver e degli operatori sanitari, oltre ad una reale presa in carico del paziente diabetico che deve prevedere un percorso assistenziale multiprofessionale, multidisciplinare, condiviso con tutti gli attori, compreso il paziente stesso e senza discontinuità. Un percorso oggi più agevolmente perseguibile anche con l’ausilio delle nuove tecnologie».
I cittadini hanno perso punti di riferimento territoriali
«Bisogna potenziare i pronto soccorso nelle realtà urbane – commenta il Senatore Mario Occhiuto, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare qualità di vita nelle città – come presidi sanitari indispensabili per le comunità locali. Se oltre il 70 per cento degli accessi presso queste strutture di emergenza è definito codice bianco o verde, ossia non urgente, significa che i cittadini hanno perso punti di riferimento territoriali e si riversano negli ospedali, dove l’attenzione è focalizzata verso le urgenze. Il sovraffollamento dei pronto soccorsi è il sintomo di una malattia più grande, che possiamo fermare solo attraverso azioni concrete e strutturali».
Un appello importante viene dal mondo advocacy
«Non dimentichiamo che il paziente diabetico è un soggetto complesso, con esigenze particolari, e che richiede un approccio appropriato che deve seguire protocolli particolari – conclude Lina Delle Monache di Federdiabete Lazio – e, soprattutto, far riferimento a precise linee guida che purtroppo ancora mancano in molti centri, come manca un network tra pronto soccorso e territorio per garantire la necessaria continuità assistenziale».
La ricerca condotta da Bhave

Lo studio ha effettuato un’analisi degli accessi al Pronto Soccorso relativi al diabete su scala nazionale con l’obiettivo di effettuare una valutazione dal punto di vista organizzativo e dei percorsi di presa in carico, evidenziando al tempo stesso eventuali criticità.
Ad essere presi in considerazione sono stati 290mila accessi rilevati su 109 strutture di emergenza sul territorio. Nel campione sono rappresentate tutte le fasce di età, con maggiore prevalenza della fascia centrale 19-49 anni per il diabete tipo 1 (63-74%) e della fascia 50-64 anni (35-44%) per il diabete tipo 2. Le principali motivazioni di accesso in pronto soccorso per diabete sono: ipoglicemia (20-56%); iperglicemia (16-45%); chetoacidosi (11-32%); piede diabetico (0-15%).
Insulina ed ipoglicemizzanti orali tradizionali sono le tipologie di farmaci maggiormente utilizzati dal paziente prima dell’arrivo in PS. Le percentuali di utilizzo dei nuovi ipoglicemizzanti orali, dei GLP-1 e degli SGLT-2 sono bassissime. Questo può essere un indicatore indiretto della “ripetitività” prescrittiva dei medici di medicina generale, oppure dello scarso aggiornamento degli stessi in materia, oppure ancora della reticenza del paziente a cambiare tipologia di farmaco assunto.
Un dispositivo di monitoraggio continuo della glicemia è utilizzato solo dal 50% circa dei pazienti: un altro dato indice della necessità di formazione/aggiornamento della medicina di territorio per indirizzare i pazienti verso l’impiego di strumenti capaci di rilevare le oscillazioni dei valori in qualsiasi momento e ridurre così il rischio di eventi acuti e complicanze croniche.
Interessanti anche le informazioni relative alle dimissioni dall’ospedale: negli accessi per ipoglicemia e per iperglicemia i pazienti vengono inviati alla dimissione al centro antidiabetico; solo per la chetoacidosi è previsto anche il ricovero.
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