5 Febbraio 2023
Il dolore di non essere padre

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La storia è piena di donne repudiate perché non potevano avere figli. Perché per secoli la sterilità è stata esclusivamente ‘femmina’. Perché la fecondità è stata sinonimo di virilità, di capacità sessuale, di potenza maschile e allora guai a metterla in discussione. Oggi, la scienza ha dimostrato che le cause del mancato concepimento di un figlio sono da ricercare nell’uomo quanto nella donna. Senza mai parlare di colpa. E poco importa chi sia il destinatario della diagnosi, in ogni caso quando il figlio è desiderato la notizia arriva come una condanna. E’ il dolore di non essere madre. Il dolore di non essere padre.
La sterilità nell’uomo, un dolore meno considerato?
Si parla spesso delle implicazioni psicologiche che una notizia di infertilità provoca in una donna. Un po’ meno di quelle che innesca in uomo. Perché erroneamente si crede che la voglia di maternità sia più forte di quella di paternità? Perché non parlane significa non mettere in discussione la virilità? Perché ‘i figli sono delle madri’ e allora perché occuparsi dei padri? Ne parliamo con Ciro Basile Fasolo, andrologo, e autore del volume “Homo Patients” edito da Felici Editore, dedicato alla sofferenza maschile, tra storia, scienze, religione e mezzi di comunicazione.

Un viaggio che non può che iniziare dalla fine, da quella spermocalypse che ormai sembra non arrestare la sua corsa e cioè la progressiva diminuzione della fertilità maschile, dovuta a cattivi stili di vita e fattori ambientali (stress, sedentarietà, cattiva alimentazione, genetica, esposizione a sostanze inquinanti e cambiamenti climatici). Sembra la trama di un film catastrofe anni ’70 di Hollywood ma a giudicare da un recentissimo studio del 2022 non c’è da aspettarsi l’arrivo in extremis dell’eroe buono che risolve tutto. I dati parlano chiaro: la concentrazione degli spermatozoi negli uomini del Nord America, Europa e Australia (ma anche Sud/Centro America, Africa e Asia) continua inesorabile. Lo studio è un aggiornamento di una ricerca precedente e conferma che la corsa ‘al ribasso’ non solo continua, ma è più rapida dal 2000 e deve essere considerata una significativa preoccupazione per la sanità pubblica.
Questo rappresenta una preoccupazione ancora più pressante nel nostro Paese dove il record di denatalità del 2021 sembra confermarsi anche nelle stime del 2022 da parte dell’Istat.
Con la mancata paternità si mette in discussione la stessa virilità
Allora, possiamo davvero permetterci di ignorare queste mancate paternità? Possiamo ignorare il dolore di non essere padre ? Al di là degli aspetti clinici, possiamo veramente continuare a pensare che il vuoto per un figlio che non arriva sia soprattutto della donna? «Una diagnosi di azoospermia è stato descritto dagli uomini che desiderano un figlio come il colpo più duro ricevuto dalla vita, ma è evidente che ognuno di loro elabora e affronta la notizia in modo diverso: dal senso di colpa, alla depressione, alla rabbia. I sentimenti che prevalgono sono di fallimento, di vergogna verso gli altri, di messa in discussione della propria virilità. D’altra parte non possiamo dimenticare che in tutte le Società, fin dagli esordi dell’umanità, la fertilità è considerata come un dono, il figlio come un regalo e la sterilità come una colpa, un castigo, una condanna» spiega Ciro Basile Fasolo.
Il dolore psichico in un uomo sterile può trasformarsi in dolore fisico
«Non è raro incontrare uomini che dopo una diagnosi di sterilità vivono uno stress tale da andare incontro a difficoltà sessuali che, a loro volta, innescano nuovo stress, nuovi sensi di colpa in un circolo vizioso che non fa bene al singolo e tanto meno alla coppia. L’uomo è portato a volte a cercare in modo quasi ossessivo tutte le informazioni possibili sulle cause della sua infertilità, a volerne sapere sempre di più somatizzando tutta la sua ansia e, quindi, sviluppando talvolta sintomi dolorosi e disfunzionali a livello genitale » aggiunge Ciro Basile Fasolo.

Gli uomini e la sindrome del ritardo
Molto di tutto questo stress affonda le sue radici nel significato che viene dato al figlio come valore a livello individuale, relazionale e sociale. Un quadro che ha subito negli ultimi 50 anni profondi mutamenti. Oggi la scelta di avere o meno un bambino non è un evento ineluttabile, scontato, ma piuttosto viene programmato all’interno di un progetto di coppia articolato, che parte dall’autorealizzazione dei due partner. Quando tutte le tessere del puzzle familiare si incastrano, si cerca di inserire quella della maternità/paternità. Con tempi e modi piuttosto differenti tra l’uomo e la donna.
«Il ruolo maschile in questo percorso resta ancora in secondo piano, sfumato. Il riflettore resta tradizionalmente acceso sulla donna. Gli uomini tendono a posticipare, a rimandare a non preoccuparsene troppo. È quella che chiamiamo la “sindrome del ritardo” e cioè ad uscire il più tardi possibile da casa, a sposarsi più in là, a restare figli più tempo possibile prima di diventare padri. Non se ne occupano/preoccupano troppo della loro fertilità e così arrivano alla diagnosi quando vogliono un figlio, spesso quando ormai è già anagraficamente tardi. E questo dolore ‘tardivo’ porta a volte anche ad una strategia di resilienza che passa attraverso la de-valorizzazione del figlio» conclude Basile Fasolo.
La Società deve tutelare la salute riproduttiva
Uomini e donne oggi, nella nostra società, tendono a rimandare l’uscita dalla famiglia, anche a causa della difficoltà di trovare lavoro e, conseguentemente un alloggio, per una nuova coppia, di fatto rimandando in avanti l’età per generare, per cimentarsi nel diritto/dovere di procreare per poter accedere all’essere padri e madri. Questo fa sì che spesso al momento della scoperta di un problema di fertilità, la diagnosi e le eventuali procedure di assistenza alla procreazione siano tardive, qualche volta molto, troppo limitate.
Si rende necessario che la nostra società sviluppi politiche per la tutela della fertilità dei giovani, attraverso la promozione della prevenzione e tutela della salute riproduttiva fin dalle epoche più precoci, al contempo sviluppando politiche del lavoro, della casa e della famiglia, che possano invertire la tendenza all’accesso tardivo alla riproduzione e alla genitorialità.
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