1 marzo 2023
Bodyshaming, gli obesi e la lettera scarlatta

La modella “angelo” ci guarda dal cartellone pubblicitario in biancheria intima e cattura subito lo sguardo. Perché è bellissima, perché è sexy. Perché vicino agli altri “angeli” taglia XS la sua XL non sfigura. Anzi, sa di normalità. E a guardare bene, tra vetrine e siti di ecommerce è un proliferare di ragazze decisamente più che morbide, più che curvy. Un bel messaggio contro il bodyshaming, contro una Società che vuole donne e uomini magrissimi e stereotipati, contro chi sostiene che solo una taglia 42 può essere sexy. Tutto vero. Tutto giusto. Ma non è che corriamo il rischio opposto?
Non è che per combattere lo stereotipo della magrezza=bellezza stiamo rovinosamente andando verso la normalizzazione dell’obesità che, non va mai dimenticato, è una malattia e anche grave. Soprattutto se si inizia da bambini.
Lo stigma dell'obesità, come una lettera scarlatta

Non è che per contrastare il bodyshaming stiamo perdendo di vista la giusta ‘misura’? La domanda è per Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, Direttore Rete Disturbi Comportamento Alimentare dell’Usl 1 dell’Umbria e Past president della Società Italiana Riabilitazione Disturbi del Comportamento Alimentare e del Peso (SIRIDAP). «La verità è che il senso della misura non lo abbiamo mai trovato. E non dobbiamo in nessun modo farci fuorviare dai messaggi che arrivano dal marketing. L’obesità è ancora una lettera scarlatta marchiata a fuoco sulla pelle di chi ne soffre. E’ ancora uno stigma, una colpa, una vergogna. Dobbiamo partire da qui per affrontare veramente il tema dell’obesità e solo dopo parlare dei messaggi che arrivano dall’ecommerce e dintorni».
L’obesità nel nostro Paese è un problema. Le cifre parlano chiaro. I bambini italiani sono al vertice della classifica europea e questo non fa ben sperare per il futuro. Perché un bambino obeso è destinato ad essere un adulto obeso. E quindi a combattere con una malattia che troppo spesso è ancora considerata come un problema estetico. Perché?
Le persone obese non sono considerate malate. Se sei diabetico, soprattutto se sei giovane, hai comprensione e solidarietà. Nessuno te ne fa una colpa. Se sei obeso, invece, sei considerato pigro, poco attento alla tua immagine e alla tua salute, senza amor proprio e forza di volontà. E, allora, vieni accusato, condannato e discriminato. Diventi il bersaglio del bodyshaming. Tutto in un colpo solo. E così, la persona non chiede aiuto, si allontana, vive la sua condizione con vergogna. Sbaglia chi sostiene che l’obesità sia una scelta piuttosto che una malattia. Non a caso è stata riconosciuta come patologia cronica, multifattoriale e recidivante. Eppure in molti ancora lo dimenticano, medici compresi».
Che la Società ritenga gli obesi dei pigri golosi è sotto gli occhi di tutti ma che lo pensino anche i medici è un po’ meno evidente.
E’ sempre lo stigma a dettare le regole del gioco. Ci sono stati una serie di studi internazionali conosciuti come ACTION studies (Awareness Care & Treatment In Obesity maNagement), condotti sia in Europa che negli Usa, che hanno dimostrato come molti professionisti del settore sanitario ritengano che nella massima parte dei casi i loro pazienti non siano abbastanza motivati a perdere peso, che non gli interessi come dovrebbe. Il dato è stridente perché a fronte del 71% dei terapeuti che crede che i pazienti non siano abbastanza impegnati nel perdere peso, solo il 7% dei pazienti si riconosce in questo ritratto. Tutto questo si traduce in un mancato, o ritardato, inizio della terapia, in genere circa 6 anni. E l’Italia non è certo immune da questo fenomeno. Alle persone grasse il medico tende a dedicare meno tempo, ad offrirgli un’assistenza superficiale, a non ascoltarlo, a non informarsi sulle sue ragioni. Come a dire che tanto è tempo perso, che le cure non saranno comunque efficaci, che la partita non vale la pena giocarla. E’ una realtà scomoda ma è così, ovviamente senza generalizzare. Però i dati ci confermano che le persone obese hanno più possibilità di andare incontro a diagnosi sbagliate.
Così, se da una parte i cartelloni pubblicitari si riempiono di ragazze più che curvy, dall’altra continua incrollabile lo stereotipo della magrezza come unico modello di bellezza?
Dobbiamo fare una distinzione netta tra Società e Marketing. Da una parte abbiamo la Società che vuole donne e uomini magri, belli, perfetti. Chi è obeso è pigro, brutto, sfaticato, ingordo. Le persone grasse non sono ‘allineate’, non rispettano uno ‘standard’ e, quindi, vengono discriminate. Non solo per il proprio aspetto ma anche perché quel corpo, nel pensare collettivo, ha un corrispettivo nella mente, è la sentinella di una persona decadente, sciatta, persino meno intelligente, meno capace, meno brillante. Il paradosso è che più aumentano i numeri dell’obesità, anche nel nostro Paese, e meno si intacca la discriminazione. D’altra parte la ‘gola’ è un peccato capitale e l’obeso chi altri è se non un ‘ciccione goloso e svogliato’ da mettere sul banco degli imputati? Ma attenzione, la discriminazione, il bodyshaming, non riguarda solo gli adolescenti ma anche gli adulti. Pensiamo alla foto su un curriculum che spesso vale più di un titolo di studio o di una competenza. Ci sono studi che ci dicono come le persone grasse fanno meno carriera, sono pagate di meno a parità di ruolo. E se poi si tratta di una ‘cicciona’ allora le cose sono tragiche: le donne obese sono discriminate tre volte in più degli uomini e vengono per lo più escluse da quei lavori di contatto per i quali è richiesta non competenza ma ‘bella presenza’.
Quando il politically correct è conveniente al marketing

La Società discrimina ma il marketing accoglie? E’ solo finzione? E’ solo una strategia del ‘politicamente corretto’?
Sono affari. Tutto qui. Una persona in sovrappeso od obesa sa che nei negozi ‘normali’ non troverà niente. Fino a qualche tempo fa o ti vestivi nei negozi ‘taglie forti’ o non avevi speranze. E soprattutto i più giovani non sapevano come fare. Era una moda più costosa e dai gusti più classici. Ma chi lo dice che una ragazza o una donna obesa non abbia gusti moderni addirittura stravaganti, che non voglia essere alla moda? Il mercato ha intercettato questa richiesta e ha soddisfatto il bisogno. Gli obesi sono una fascia di consumatori interessanti, da intercettare e assecondare. Non c’è alcun desiderio di accettazione o di contrastare il bodyshaming, è solo un mercato vergine da conquistare.
I fatturati salgono, il disagio culturale resta
La moda punta sul curvy, l’industria dell’alimentazione sulle diete.
E’ così. Gli scaffali si riempiono di cibi proteici, light, ‘ricchi di’ e ‘poveri di’ per accontentare una fascia di mercato e i siti di ecommerce di 4XL. Ma, alla fine, i modelli culturali, lo stigma, la scarsa consapevolezza dei danni che tutto questo crea, restano immutati. I fatturati salgono e il disagio sociale resta.
Eppure negli ultimi anni si registra quasi un’affermazione di chi, con fierezza, mostra il proprio corpo. Anche a rischio di subire attacchi pesanti, sui social ma non solo.
E’ solo l’altra faccia dello stesso problema. C’è chi si chiude in casa e si isola e chi, per reazione, si mostra. Ma in entrambi i casi sono una reazione ad un disagio, ad un dolore, ad una colpevolizzazione. Nella Società ma anche in famiglia. Perché ‘lo sguardo di biasimo’ non arriva solo da chi è lontano e non ci conosce ma anche da chi abbiamo più vicino e dovrebbe sapere chi siamo veramente.
Quindi mentre sulla superficie compaiono modelle curvy e campagne contro il bodyshaming continua, sommersa e pericolosa, la corrente dello stigma e della discriminazione. Eppure sembra quasi che di disturbi alimentari non si voglia più parlare.
No, di anoressia si parla e si deve parlare sempre di più. Perché il problema è tutt’altro che risolto. Così come la bulimia nervosa, il disturbo da binge eating, ecc. Per il Ministero della Salute ho curato una survey sui disturbi alimentari durante la pandemia. Dal 2019 considerando tutte le diagnosi per Disturbi Alimentari abbiamo registrato un aumento costante della patologia. Si abbassa l’età media, si accorciano le distanze tra donne e uomini (nella fascia tra i 12 e i 17 anni riguarda il 10%). Aumentano i numeri ma l’offerta assistenziale è ancora inadeguata nonostante molti sforzi compiuti e le indicazioni del Ministero della Salute. Nel 2020 sono morte 43889 persone con una diagnosi di disturbi alimentari, con un’età media di 35 anni. A confermare il fatto che non si muore di Anoressia e Bulimia ma si muore per non aver potuto accedere alle cure. Soprattutto al Sud dove sono scarse, o assenti, le strutture di cura. E la pandemia che ha costretto il SSN a concentrarsi sul Covid-19 e interrompere molti trattamenti non ha certo aiutato.
E intanto il bodyshaming continua. E la lettera scarlatta della colpa non accenna a scomparire.
Lavostrasalute.it dedica un intero dossier al tema dell’obesità.
Foto: Pexels, Pixabay, Unsplash