17 marzo 2023
Narcolessia, si conosce più la parola della malattia

E’ molto più di ‘avere sonnolenza’. E’ vivere ‘in balìa del sonno’, con attacchi pluriquotidiani che sono impossibili da gestire, da procastinare, da combattere. Significa addormentarsi durante una conversazione, mentre si è in classe a seguire una lezione o a tavola mangiando con gli amici. Perché per quanto resisti, lei vince. E’ la narcolessia, una malattia della quale ancora non si conoscono le cause, ma che può rendere la vita di chi ne è colpito davvero difficile. Parlarne è importante, perché si conosce ancora troppo poco tanto che ci sono persone che ricevono una diagnosi solo dopo decine di anni. E quale occasione migliore per farlo che la Giornata Mondiale del Sonno che si celebra il 17 marzo.
Allora cerchiamo di conoscere la narcolessia insieme al presidente dell’Associazione Italiana Narcolettici e Ipersonni (AIN) Massimo Zenti.
Una malattia insidiosa che si affaccia da bambini

« Un narcolettico impiega anni prima di ricevere una diagnosi, in media 4-6 anni. A me ce ne sono voluti addirittura 14. E sono stati anni difficili, nei quali, pensavano tutti che fossi depresso. Quando, finalmente, hanno scoperto che ero malato, che soffrivo appunto di narcolessia, sono stato felice. E’ stata una bella notizia. Finalmente, potevo iniziare a sperare di potermi curare, di poter gestire la malattia e riprendere in mano la mia vita. Avevo 21 anni».
«La narcolessia ha spesso un esordio infantile, e ha un picco tra i 15 e i 25 anni. In famiglia arriva così, all’improvviso. E’ una malattia rara, si stima che in Italia i narcolettici siano circa 6mila, ma quelli con una diagnosi certa sono solo 2mila» spiega Zenti.
Cosa significa vivere con la narcolessia?
Non è come nei film, dove il narcolettico un attimo è normale e l’attimo dopo cade steso a terra a dormire. Senti salire questa sonnolenza e ti avvolge e ti stravolge e per quanto tu possa tentare di resistere alla fine vince lei. Gli attacchi di sonno compaiono ogni ora e mezza, due ore. Dormi pochi minuti e poi ti svegli riposato. Certo, varia molto da caso a caso, a seconda di quanto grave sia la forma. Ma quello che non cambia è lo stigma di chi ti sta intorno. Immaginate cosa possa significare lavorare, andare a scuola, stare con gli amici, avere una vita “normale”. E anche avere una diagnosi certificata aiuta poco, gli altri non ti capiscono.
Perché è così difficile per la Società comprendere i narcolettici?
Innanzitutto perché la cultura occidentale ha fatto del sonno un difetto e della veglia una virtù. Chi dorme, ozia non produce, non è attivo, è pigro. Chi dorme non è affidabile. Se dopo una riunione una persona si concede una pausa per fumare una sigaretta, bere un caffè o dare uno sguardo ai social sul cellulare nessuno ci trova niente di male. Ma se io mi addormento cinque minuti sulla scrivania o in macchina allora sono pigro. E le cose non vanno meglio quando hai una diagnosi, perché comunque ti senti ripetere frasi come ‘non puoi andare a letto prima la sera?’, ‘hai provato a resistere e a farti forza?’. A scuola poi è davvero ancora tutto più difficile.
La diagnosi di narcolessia può arrivare dopo anni

La malattia è rara, poco conosciuta e così per anni le diagnosi non arrivano.
In genere si viene trattati per depressione, stress o sintomi psichiatrici. Ci vogliono anni per arrivare ad una diagnosi e questo perché sono ancora pochi i Centri specializzati in narcolessia. In Italia sono pochi. Per questo noi invitiamo quanti si riconoscono nei sintomi della narcolessia a rivolgersi alla nostra Associazione perché li aiutiamo a mettersi in contatto con gli specialisti. Non è detto che sia narcolessia ma se lo è non bisogna perdere tempo. Il nostro slogan è “non sottovalutare il sonno, non dormirci su”, perché se ti accorgi che non è ‘solo sonnolenza’ devi indagare.
Perché della narcolessia si pensa di sapere tutto e non si sa nulla?

Perché si conosce così poco la narcolessia?
Direi che è un paradosso: la parola ‘narcolessia’ la conoscono tutti e la usano in molti. A sproposito però. Come fossimo in una fiction. Si conosce la parola ma non la malattia. C’è davvero tanto lavoro da fare, anche tra la stessa classe medica. E moltissimo nella Società.
L’Associazione al servizio dei pazienti e delle famiglie
Un consiglio da dare ai genitori che scoprono che il loro figlio è narcolettico?
Di non disperare e di non spaventarsi. Mi rendo conto che all’inizio fa paura, soprattutto se ci sono episodi di cataplessia e cioè una rapida perdita del tono muscolare mentre il bambino o il ragazzo sta ridendo o è eccitato o comunque sta vivendo un forte momento emotivo. Per alcuni minuti si perde il controllo muscolare, si cade, e pur rimanendo coscienti e respirando si resta immobili. Oppure se i loro figli hanno una particolare espressione del volto, chiamata facies cataplettica caratterizzata dalla bocca aperta e protusione della lingua, anche in assenza di stimoli emotivi.
E’ un momento difficile per un genitore. Ma è importante che sappiano che, solitamente, quella dell’infanzia è la fase più brutta, poi ci si adatta a convivere con la malattia e la qualità di vita migliora. Inoltre, le terapie e un corretto stile di vita possono fare molto. Per questo, ancora una volta lo ripeto, la diagnosi è fondamentale così come rivolgersi a Centri altamente specializzati. Noi dell’Associazione siamo a disposizione per fare da guida in questo percorso.
Sul sito dell’Associzione Italiana Narcolettici e Ipersonni è possibile trovare molte informazioni sulla narcolessia.
Lavostrasalute.it dedica un intero dossier al tema della narcolessia.
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