25 Marzo 2023
L’ istinto materno può essere un salvagente bucato

“L’istinto materno non esiste”. “Si può scegliere di non avere un figlio ed essere delle belle persone”. Il rimpianto della maternità lo provano molte donne almeno una volta e non sono esseri umani spregevoli”. Tre tabù in fila. E dirli ad alta voce è il dovere di una Società che davvero vuole il bene delle donne e crede nella maternità.
Sfatiamo i tabù e le donne si sentiranno meno sole. La maternità sarà una scelta consapevole e non un dovere sociale. Fallimento, inadeguatezza e senso di colpa assumeranno un altro peso. Ma, in Italia, siamo pronti?
L’istinto materno è un mito rassicurante
Nel nostro Paese – ma a dire il vero siamo in buona compagnia- le bambine vengono allevate con il mito rassicurante dell’istinto materno. Per il solo fatto che sono di genere femminile sono state dotate dalla natura di questa bacchetta magica. Si cresce con l’idea che prima o poi l’istinto materno busserà sulla spalla, magari ‘svegliato’ dall’orologio biologico, e allora tutte le tessere del puzzle andranno al loro posto. Ma non basta.
Come fosse un salvagente che ti assicura di non affogare, il mitico istinto di maternità promette di essere salvifico: evita alle madri di perdersi nel mare dell’inesperienza, di essere trascinate giù dalla corrente della fatica e di essere sballottate durante quel processo di apprendimento che fa di loro, appunto, una madre.
Le donne che non vogliono figli sono giudicate e condannate

Così, quando un giorno scopri che l’orologio biologico non squilla, che l’istinto materno non bussa alla spalla e che tu quel figlio non solo non lo vuoi ma proprio non ci pensi, ecco allora che è come se fossi mancante di una parte essenziale di essere donna. No bacchetta magica, no party.
«Esiste anche una forte visione di coloro che non sono madri. Sono compatite, sospettate, viste come egoiste, edoniste, immature, non degne di rispetto, incomplete, pericolose e di dubbia salute mentale. Non diventare madre può significare essere giudicate e condannate a una vita vuota, noiosa, solitaria e tormentata, fatta di rimpianti, mancanza di significato e di sostanza» dice Orna Donath, sociologa israeliana e autrice di The Regret of Being a Mother, in un’intervista a Ça m’intéresse.
Quando l’istinto materno è un salvagente bucato
Ma le cose vanno ancora peggio per quelle donne che scoprono di non avere l’istinto materno quando diventano madri. Che si rendono conto che il loro ‘mitico salvagente’ che le avrebbe salvate dalla tempesta emotiva, è bucato. Succede, anche alle migliori.
Che l’istinto materno sia un mito, una sovrastruttura culturale lo dice la scienza. In un’intervista la dottoressa Catherine Monk, psicologa e docente di psicologia medica del dipartimenti di psichiatria e ostetricia e ginecologia del Columbia University Medical Center ricorda come l’idea di istinto materno implica l’esistenza di una conoscenza innata e di una serie di comportamenti di cura che fanno parte automaticamente del diventare ed essere madre. Mentre si tratta di un apprendimento sul campo, niente di automatico e immediato.
Ci possono volere giorni o mesi per sviluppare un rapporto con il nascituro
Uno studio del 2018 ha dimostrato che ci vogliono diversi giorni, se non diversi mesi, per sviluppare un sentimento di affetto verso il nascituro dopo la nascita. Perché è vero che una donna ha tutta la gravidanza per abituarsi a l’idea e a creare un legame, ma non c’è niente di automatico. E se una donna non manifesta immediatamente questi sentimenti non è una cattiva madre, non deve colpevolizzarsi e sentirsi fallita.
L’istinto materno è stato inventato dalla Società per far fare più figli alle donne
L’idea dell’istinto materno è un mito. Elisabeth Badinter, scrittrice e filosofa francese, nel libro che fece scandalo “L’Amour en plus”, non ha dubbi e lo fa risalire al XVIII secolo, quando si capisce che fare figli aiuta la Società e l’economia. Che se si favorisce il legame donna-sviluppo demografico una nazione diventa più forte, più potente. Ecco allora che si inizia a parlare di ‘istinto materno’ e dare alle donne il ruolo, esclusivo, di madri in nome di quel legame straordinario e naturale con il proprio figlio.
Prendersi cura, imparare sul campo, provare, sbagliare, cadere, ricominciare. ‘Genitori non si nasce, si diventa’ dicono sempre tutti. Peccato che quando si tratta di una donna prima viene ‘l’istinto materno’. È come quando ad un millennial dai una lavatrice, un cellulare o una smart tv. Non hanno bisogno del libretto delle istruzioni. Loro ‘lo sanno come si fa’, ce l’hanno dentro. Allo stesso modo, l’istinto materno, dovrebbe dirti come si allatta, come si mette un pannolino, come si riconosce una colica, come si sopravvive alle notti insonni, al senso di inadeguatezza, alla voglia di scappare via.
Il rimpianto della maternità è il tabù dei tabù
Ecco l’altro tabù. Anzi, il tabù dei tabù. L’elefante nella stanza. Sua maestà ‘il rimorso’. Seguito sempre da sua eccellenza ‘il senso di colpa’. Perché tra donne ci si può confidare tutto, il più atroce dei segreti, il più vergognoso dei difetti. Ma mai e poi mai, nel nostro Paese, si ammetterà di ‘essersi pentite’. Almeno una volta, anche solo per poco. Un “ma chi me lo ha fatto fare”, dovrebbe essere dato in dotazione nel kit delle dimissioni in ospedale. Il rimpianto della maternità. E non importa che duri un secondo, una giornata, una notte insonne o tutta la vita. Esiste, capita. E non fa di una madre una cattiva madre, ammetterlo fa di una madre una persona.
«Riconoscere l’esistenza del rimpianto della maternità mette a rischio la società. Significherebbe ripensare l’ordine sociale a vantaggio delle nazioni, dell’economia, delle logiche del capitalismo, degli interessi del patriarcato, ecc.» aggiunge Orna Donath.
Dire la verità aiuta le donne a non sentirsi fallite

Non si tratta altro che di dire la verità. E così, fare del bene ad altre donne che pensano di essere le sole a provare questo sentimento e, per questo, si sentono fallite. Depressione post-partum, rifiuto del proprio corpo cambiato, burn-out materno, difficoltà a sopportare il peso delle rinunce, il sacrificio di dover essere a disposizione di un altro. Succede. A molte, se non a tutte. E se non capita non significa che si è migliori di altre. Non è una gara. Madri non si nasce, si diventa. E c’è chi è più portato e chi meno, a chi riesce bene e chi ha bisogno di più tempo. E anche a chi, a dispetto di tutto l’impegno, proprio non gli viene facile.
Da #regretmaternel a #regrettingmotherhood, manca #rimpiantomaterno
Navigando nei social ci si rende conto di quanto, in Italia, sia un tabù. Pochi, pochissimi post sull’argomento. Poche testimonianze sul ‘pentimento materno’. Molti di più quelli in lingua francese (#regretmaternel) o inglese (#regrettingmotherhood). È ora, anche in Italia, di lanciare #rimpiantomaterno.
Ci si pente di essere madri. Non ci si pente del figlio
Sì, perché ci si pente di essere madri. Non ci si pente del figlio che è nato (quello è un altro sentimento, legato ad altri problemi). Rende bene l’idea un post nell’account instagram @le_regret_maternel: Non è mio figlio che rimpiango, ma il ruolo di madre, ciò che comporta avere un figlio, le responsabilità, il carico mentale moltiplicato per mille e la mancanza di tempo per se stessi che fanno sì che se dovessi rifare tutto da capo, non avrei un figlio.
Non lo dirò mai abbastanza: amo mio figlio più di ogni altra cosa, è il ruolo che deriva dalla maternità che odio.
Se dico che mi pento di avere un figlio, metto l’accento su mio figlio. E nella mia testa questo implica: è colpa sua se mi sento così. Ma so benissimo che mio figlio non c’entra nulla, che non l’ha chiesto lui. Certo, senza di lui oggi non sarei madre e quindi non avrei rimpianti. Ma insisto, la scelta delle parole è davvero importante.
Parlare del rimpianto di essere madre si concentra sulla parola “madre” e non sul bambino. Io vivo questo rimpianto, sento questo disagio, questa difficoltà.
Non si ammette il rimpianto della maternità per proteggere i bambini e per sottrarsi ai giudizi

Perché si resta in silenzio? Perché non si affrontano questi sentimenti? Secondo Orna Donath soprattutto per un desiderio di protezione. Da un lato per proteggere i bambini, che potrebbero non essere in grado di distinguere tra il rammarico per una situazione e quello per la propria esistenza. Ma dall’altro, e questa è una mancanza della Società, per proteggere se stesse dallo sguardo degli altri. Perché ammettere che se si dovesse tornare indietro, non lo si rifarebbe, significa salire sul banco degli imputati.
«Riconoscere questo rimpianto potrebbe incoraggiarci a vedere la maternità non come un regno mitico, ma come una relazione umana tra le altre, che può includere una serie di emozioni come la gioia, la noia, l’odio, la gelosia, l’amore, la rabbia e, naturalmente, il rimpianto. Questo ci ricorda che le donne sono in grado di ricordare, valutare, immaginare, pensare, sentire e prendere decisioni per se stesse» spiega Orna Donath.
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Foto: Pexels, Unsplash