Affrontano il mare ma non sono donne alla deriva

1 Marzo 2023

Affrontano il mare ma non sono donne alla deriva

Corpi in mare ma non donne alla deriva

Mar Mediterraneo, 93 persone a bordo, 12 giugno 2021 © MSF

Portano sulla pelle i segni del viaggio, della fatica, del dolore, delle violenze. Ma hanno il futuro negli occhi, la determinazione nella testa, il coraggio nel cuore. Quando salgono su un gommone per andare incontro alla loro nuova vita si lasciano spesso alle spalle storie di incredibili sofferenze e inaudita violenza. Su quella barca insicura sono, sicuramente, corpi in mare ma non sono donne alla deriva.

Hanno volti da anziane ma sono poco più che bambine

È  il prezzo che hanno pagato per il sogno. Un prezzo decisamente più alto di quello versato ai trafficanti. E commette un grande errore chi nel guardarle negli occhi vede solo quel dolore e non riconosce il coraggio. Chi prova solo pietà e non rispetto. Sono le donne migranti, quelle che salgono su un gommone, da sole o con un marito, che a volte hanno un figlio in braccio, altre in pancia, che spesso ci sembrano delle giovani anziane e, invece, sono poco più che bambine.

Cosa significa per una donna affrontare quel viaggio?

Donne che devono fare i conti proprio con il loro essere donne, con il ciclo, con una gravidanza a termine, con un pudore che la loro cultura gli impone e che noi spesso dimentichiamo. Cosa significa per una donna affrontare quel viaggio? La domanda è per Lucia Borruso, medico, da anni al fianco delle migranti con Medici Senza Frontiere.

Lucia Borruso
Lucia Borruso

«Partiamo sfatando un pregiudizio: non si sentono vittime. Sono coraggiose, determinate, hanno un progetto ben chiaro. E per questo molto spesso non vogliono raccontare la loro storia. Se la lasciano alle spalle perché vogliono davvero voltare pagina, vogliono davvero costruirsi una nuova vita. Però non possiamo nemmeno dimenticare il prezzo che sono costrette a pagare». «E il viaggio non è che una fase, le difficoltà iniziano ancora prima di salire su quel gommone. Molte si fanno impiantare l’anticoncezionale sottocutaneo o si fanno le iniezioni contraccettive. Perché sanno di poter andare incontro a violenza sessuale. Per una donna occidentale è una cosa anche solo impossibile da concepire ma è la realtà. Ne hanno paura? Ovviamente sì. Ma non la possono negare. E, allora, si preparano».

«Così come cercano di muoversi in gruppo, protette da mariti, figli grandi, fratelli o anche solo da altri uomini della comunità. Cercano tutti di fare squadra, per quanto possibile. Perché, se finisci nelle prigioni lager in Libia la protezione è più difficile».

«Come tutti i migranti sono in buona salute, d’altra parte non potrebbero altrimenti affrontare tutto questo. Spesso quando le intercettiamo in mare o sbarcano sulle nostre coste sono provate dal viaggio, dalle condizioni igieniche assurde nelle quali si sono trovate, dalla denutrizione o dai danni del sole o del carburante ma non sono portatrici di chissà quali malattie esotiche che fanno tanta paura. Si ammalano in viaggio, si ammalano per il viaggio».

corpi in mare ma non donne alla deriva

Ritratto di Ayaan*, salvata dalle squadre di Geo Barents. Stava attraversando il Mediterraneo su una piccola barca con 54 persone. Arrivata in Libia nel gennaio 2020 dopo aver attraversato Somalia, Etiopia e Sudan, è stata tenuta prigioniera dai trafficanti e torturata più volte prima di riuscire a fuggire e raggiungere l'Europa.
© Mer Méditerranée, Pablo Garrigos/MSF

Per queste donne tutto è difficile e la privacy è impossibile

«Tutto per loro è difficile, impossibile. Dall’igiene personale alla privacy. Ci raccontano spesso di non avere più le mestruazioni perché via via che la fatica, le privazioni e le difficoltà aumentano, il corpo va in sofferenza. Ma, comunque, anche se hai il ciclo non puoi fare molto. Te lo tieni e ti organizzi. E poco importa se intorno a te ci sono decine di uomini che non conosci, se sei stata abituata ad avere il massimo pudore possibile, se sei vestita e coperta da capo a piedi. Allatti davanti a tutti, fai pipì davanti a tutti, perché su un gommone o su un barcone è così che va. Smetti di essere una donna e sei un corpo alla deriva».

corpi in mare ma non donne alla deriva

© Mer Méditerranée, Pablo Garrigos/MSF
Ritratto di Baptiste*, 24 anni, Sophie*, 27 anni, e del loro bambino di sette settimane, Bienvenu*, a bordo della Geo Barents.

«E poi ci sono quelle che sul gommone proprio non ci salgono. Sono le donne che scompaiono, quelle che finiscono nella rete della prostituzione ed è anche per questo che non sono tante le bambine non accompagnate, proprio per non metterle a rischio. Spesso i minori non accompagnati sono maschi. E quando succede che una mamma muore, nessuna bambina in genere viene lasciata da sola, c’è spesso un parente che la prende con sé. E poi c’è la drammatica pagina del traffico d’organi che, troppe volte, facciamo finta di ignorare».

Si lasciano trasportare dal mare. Eppure non sono donne alla deriva. Perché loro, una mappa precisa in testa, ce l’hanno. Sanno che per vincere la partita devono scommettere con le onde, perché altra strada non c’è. Donne che smettono di essere persone. Fino a quando non salgono su una nave o approdano sulla terraferma. Fino a quando non trovano acqua per lavarsi, un angolo dove allattare, fino a quando non possono tornare a respirare. Fino a quando anche il gesto di un’operatrice che condivide uno smalto non gli dice che si può voltare pagina, che sono di nuovo persone, che sono di nuovo donne e non più solo corpi in mare.

(E.D.G)

Foto: tratte dal sito www.medicisenzafrontiere.it